Alexandria e i Barresi

Le origini di Alessandria della Rocca sono strettamente legate a quelle della nobile famiglia Barresi che comprò la baronia di Pietro D'Amico, su cui successivamente venne fondato il Comune. La famiglia Barresi, secondo il Gallupi, era originaria della Francia e precisamente della Normandia, ed era, secondo il Di Giovanni, venuta in Sicilia con il conte Ruggiero.

All'interno della famiglia furono molti coloro che si distinsero: da un Ruggero de Barresi, milite, che fu castellano del castello di Caltanissetta ad un Abbo de Barresi, figlio di Giovanni, che possedette il feudo di Militello Val di Noto, feudo innalzato a Marchesato; da un altro Abbo de Barresi, che per i servizi prestati al Re Federico e per il matrimonio contratto con Rocca de Martina, donzella della Regina Eleonora, ebbe concesso il feudo e il castello di Pietraperzia, ad Artale Barresi; per arrivare ad un altro ramo della famiglia, che è quella che a noi interessa maggiormente, che parte dal messinese Nicolò, capostipite dei Barresi di Alexandria.

All’inizio del '500 la baronia di Pietra D'Amico, assieme a quelle di Motta Sant'Agata e di Cammarata, era in possesso della famiglia Abbatellis. Nel 1478 signore di quelle terre era Francesco Abbatellis e Luna. Alla sua morte suo figlio, Federico, ereditò il fortilizio di Pietra D'Amico, ormai diruto, ed il feudo annesso.

Questi, nel 1523, dichiarato ribelle, ebbe confiscate le terre e fu giustiziato a Milazzo perché accusato di complicità nella congiura dei fratelli Imperatore contro Carlo V; di conseguenza tutti i beni vennero sequestrati dalla Corona ed una parte di essi fu conferita a Mercurino Gattinara. Successivamente, le diverse parti degli ex possedimenti Abbatellis furono sottoposte a transazioni complicate che nel primo '600 diedero luogo a liti di rivendicazione.

La baronia di Pietra D'Amico in un primo tempo fu venduta, nel 1526, a nome di Mercurino Gattinara, con il patto di riscatto a Pietro Gregorio, famoso giureconsulto, giudice della Gran Corte e Deputato del regno dal 1525 al 1533. Pare che Pietro Gregorio abbia poi ceduto i propri diritti a favore della Regia Corte, che nel 1542 vendette, senza riserve, la baronia a Nicolò Barresi che l'acquistò per 6020 onze o per 800 scudi d'oro, come riportato in altra documentazione. Il diritto di rivendicare la baronia, che gli eredi di Gattinara continuarono a godere, fu tramandato alla famiglia Castro e furono numerosi i tentativi di rivendicare la baronia da parte di questi ultimi.

La Baronia di Pietra D'Amico, al momento dell'acquisto di Nicolò Barresi, era costituita da quattro feudi: Presti Alessandro o Lisciandro, diviso in Cabibbi e Castello, Solicchialora, Mohavero e Ciniè, per una superficie complessiva di 752 salme. Successivamente la baronia si estese; infatti, nei contratti di gabella del '600, e precisamente dal 1606 in poi, troviamo elencati nove feudi facenti parte della baronia.

Oltre ai feudi originari vengono riportati anche quelli di Petraro, Scillonato, Cipollazza, Fontana Rossa e Noro. Già nel 1674 la superficie della baronia aveva raggiunto l'estensione di 3.500 salme. Dalla mole archivistica della famiglia Barresi, però, non è emersa nessuna documentazione relativa ad altri acquisti di feudi a Pietra D'Amico successivamente al 1542.

Appare evidente che alcuni dei feudi che compaiono nel primo '600, come Cabibbi e Castello, sono suddivisioni di quelli già esistenti, mentre altri, come Petraro e Scillonato avevano dovuto far parte della baronia originale (per come fu venduta nel 1526), poiché anch'essi furono sottoposti ad una causa rivendicatoria mossa contro i Barresi nel 1610 da parte di Francisco De Castro.

Il feudo di Cipollazza, ad esempio, dal 1556 in poi, risulta nelle mani dei Barresi che lo avevano ottenuto in enfiteusi dalla fabbrica della Cattedrale di Palermo. Verso la fine del '500 Carlo Barresi, nipote di Nicolò, teneva in enfiteusi anche due terre dei Gesuiti di Bivona, Scibé e Boschetto, ma nei contratti del '600 non ne viene fatto alcun riferimento. Non è possibile dire in quale modo i Barresi siano venuti in possesso di Fontana Rossa e Noro, benché è quasi certo che sono stati acquistati verso la fine del '500 da Carlo Barresi.

Arma Gentilizia della famiglia Barresi

Secondo il Mugnos: campo d'oro con dodici merletti rossi posti 4, 4 e 4 e corona di principe. Secondo il Mango: di vaio minuto d'argento e di rosso, a tre pali d'oro attraversanti; secondo il Villabianca a 2 pali, mentre il Galuppi indica l'arma d'oro e di rosso di tre tratti. L'arma che noi rinveniamo nelle nostre chiese è diversa, in vari aspetti, da quella che gli storici descrivono.

Quella posta sopra la tomba di Elisabetta Barresi, nella chiesa del Convento, raffigura dodici merletti d’oro posti sul lato sinistro, mentre sulla parte destra un grande giglio e due stelle, sormontati da corona di principe. Nelle altre armi gentilizie viene raffigurato anche un leone rampante, tre stelle e un giglio, simboli, questi, che successivamente il comune di Alessandria della Rocca adottò per il proprio gonfalone.

NICOLO’ BARRESI

Il costruttore delle fortune fondiarie dei Barresi di Alexandria fu, dunque, Nicolò, un figlio cadetto di una famiglia feudale, quella dei baroni di Militello, investito per la prima volta della baronia il 12 aprile 1543. Con lui inizia la dinastia della famiglia Barresi, alla quale sono legate le sorti di Alessandria.

Come cadetto, Nicolò Barresi non fu ammesso al godimento del patrimonio paterno, anche se pare che gli fosse assegnato un piccolo vitalizio. Per migliorare la sua posizione e costruire un patrimonio proprio si trovò costretto a far ricorso all'attività imprenditoriale.

Non sappiamo quale poteva essere la portata di tale attività, che continuò anche dopo il 1542, dopo, cioè, l'acquisto della baronia di Pietra d'Amico, ma è indubbio che si andava sempre più accrescendo sia il suo patrimonio che il suo peso politico. Egli cominciò presto ad interessarsi di affari anche al di fuori dal suo territorio di origine, quello messinese, come dimostrano l'attività di gabelloto del trappeto di Brucato, vicino Termini, e l'acquisto di una tenuta di terra vicino Palermo.

Dopo l'acquisto di Pietra d'Amico, infatti, gli interessi di Nicolò si erano maggiormente rivolti verso Palermo e palermitani dovevano essere per lo più i creditori con i cui capitali, in forma di «soggiogazioni» sul patrimonio, egli riuscì a comprare la baronia.

CARLO BARRESI

Dopo il 1567, anno in cui morì Francesco, erede universale di Nicolò, la famiglia cedette tutti i possedimenti di Messina e Carlo Barresi, erede di Francesco, incentrò i suoi investimenti verso l'entroterra e più precisamente verso la baronia di Pietra D'Amico. Carlo si investì di detta baronia il 20 giugno 1568 e fu sotto la sua signoria che nacque e si sviluppò Alexandria. La fondazione ufficiale di Alessandria, situata nel feudo Cabbibi e precisamente in contrada Prato, viene fissata da Timothy Davies intorno all’anno 1580, quando si stipularono i capitoli fra Carlo Barresi e i suoi vassalli, mentre altri storici, tra cui Vito Amico, indicano l’anno 1570 come data di fondazione del Comune.

Ad ogni modo, è fuor di dubbio che una parte della baronia fosse stata sempre coltivata nel Cinquecento; nel tardo secolo, che molti dei nuovi vassalli di Carlo Barresi già coltivassero delle terre nella baronia è evidenziato in un primo accordo, che egli fece con loro nel 1583, avente per oggetto la costruzione delle prime case ed il rifornimento di materiali da costruzione nel nuovo villaggio in contrada Prato.

Nei decenni seguenti Carlo comprò terreni e vigneti a Pietra D’Amico, appartenenti ad abitanti dei paesi viciniori, per allargare il tessuto urbano. Il nome dato al nuovo borgo fu dunque quello di Alexandria della Pietra, dal nome di Presti Lixandro, antico proprietario feudale e dalla baronia di Pietra D’Amico. Secondo l’uso di quel tempo, il popolamento di tutto il centro abitato avveniva con il conseguimento della licentia populandi o jus populandi.

Per la fondazione di Alessandria, il territorio concesso da Carlo Barresi ai nuovi abitanti ammontava a 20 salmati di terra. In Alexandria della Pietra la popolazione crebbe a ritmo accelerato: ciò è dimostrato anche dal fatto che il numero indispensabile per ottenere un posto di diritto al Parlamento Siciliano, che era di almeno 80 famiglie- circa 320 abitanti- all’atto della sua fondazione, venne raggiunto già nel 1592, quando Alessandria contava 110 case e 307 abitanti.

La baronia di Pietra D'Amico diveniva sempre più grande e più produttiva, un solo possedimento situato al centro dell'isola destinato ad una sempre maggiore produzione di frumento. A differenza di Nicolò Barresi, il nipote Carlo iniziò a gestire in gabella anche dei possedimenti altrui che, come il proprio, si trovavano nella «Sicilia del grano». Come tanti feudatari, i Barresi preferivano affittare i loro feudi anziché gestirli in proprio, anche se nello stesso tempo prendevano in gabella i feudi altrui. I Barresi richiedevano ai gabelloti di Alexandria di produrre un quantitativo di frumento sufficiente a riempire i quattro magazzini la cui capacità totale era pari a 3.000 salme.

E' interessante rilevare che i capifamiglia Barresi stabilirono, tramite il testamento, non la donazione propter nuptias, ma il fidecommesso; in virtù di tale disposizione testamentaria l'istituito erede aveva l'obbligo di conservare e trasmettere l'eredità ad un'altra persona determinata e né Francesco, né Carlo, né Elisabetta, erede di Carlo, si sposarono prima che fosse morto il capofamiglia. I diritti dell'erede universale furono attentamente riconosciuti nei testamenti di ogni capofamiglia da Nicolò in poi.

ELISABETTA BARRESI

L'erede di Carlo Barresi, Elisabetta, è stata sicuramente uno dei più insigni personaggi della famiglia Barresi: giovanissima divenne baronessa di Alessandria della Pietra con la sua prima investitura che porta la data del 16 novembre 1619.

Fu proprio sotto Elisabetta che il piccolo borgo raggiunse il suo massimo splendore, anche dal punto di vista architettonico; a lei si debbono la costruzione della chiesa del Convento, che donò, con atto pubblico -come si evince dalla lapide posta sotto il suo busto marmoreo che racchiude le sue spoglie, a sinistra dell'altare maggiore di detta chiesa- ai Padri Minori Osservanti Riformati o Francescani, nonché l'edificazione, assieme al nipote Giuseppe Napoli, della chiesa del Collegio di Maria, come testimoniano le tabulae in marmo poste all'ingresso della chiesa stessa che dotò di rendita.

Sposando Girolamo Di Napoli e Settimo, della famiglia Caracciola, congiunse il patrimonio dei Barresi e le fortune di Pietra D'Amico con quello di una famiglia in ascesa che, ai primi del '600, stava creandosi a Palermo dei grossi interessi, anche se non poteva vantarsi di una genealogia nobile. Tutti i suoi interessi economici furono rivolti principalmente ad Alessandria, alle "sue" proprietà. Elisabetta dovette affrontare anche le vicissitudini della baronia e principalmente chi la rivendicava, primi fra tutti la famiglia Castro.

Già, nel 1615, una decisione emessa dal Supremo Consiglio d'Italia riconosceva sì i diritti di Carlo sulla baronia, ma la famiglia Castro non accettò di rinunciare alle proprie pretese, anzi intensificò l'azione legale soprattutto quando Francisco de Castro diventò viceré di Sicilia. Elisabetta nel 1620, giunse ad un accordo di compromesso con i Castro, che rivendicavano la baronia; ella si impegnò ad assegnare, per una cessione di diritti, quattro feudi di Pietra D'Amico e cioé Ciniè, Moavero, Petraro e Scillonato, che avrebbe dovuto riscattare per 20.250 onze entro diciotto anni.

Successivamente però l'accordo fu sconfessato dalla stessa Elisabetta la quale, dopo che fu riaccesa la lite, riuscì a far ridurre la liquidazione a 16.000 onze senza l'obbligo della cessione temporanea di una parte della baronia. L’immagine che abbiamo di lei ci rimanda al busto marmoreo conservato presso la chiesa del convento, ma ancor più alla tela che la ritrae, dipinta nel 1664 e che è conservata presso la stessa chiesa, somigliante alla medesima, come scrive il Principe di Resuttano il 16 giugno 1762 alla Madre Superiora del Collegio di Maria, soro Giuseppa Grandola, in cui l’invita a farselo accomodare dal Superiore del Convento per poterne farne copia e rimetterlo assieme al suo ritratto in detta chiesa.

I tratti salienti della sua personalità, ricca e certamente complessa, ci mostrano: “una donna d'altri tempi, ma certamente, per molti aspetti, una donna moderna, di grande vivacità intellettuale, che aspirava ad una sua personale realizzazione”. Lo zio Carlo Barresi, giovanissima, la nomina suo successore, con il titolo di Baronessa diventa Signora di Alexandria della Pietra mero et misto imperio.

Il titolo nobiliare che le viene conferito non lo subisce passivamente, ma lo piega ad un suo progetto ed il suo progetto era Alessandria ed è a lei che si lega indissolubilmente anche la storia religiosa di Alessandria della Pietra. Elisabetta morì nel 1679. I suoi successori divennero proprietari assenteisti e spostarono la loro dimora a villa Napoli, a Resuttana Colli, lasciando Alessandria definitivamente nelle mani del Governatore e dei notabili locali.

Il primogenito di Elisabetta, Giuseppe, ottenne di convertire dal Re Filippo, nel 1636, la Baronia in Principato, che prese così l'89° posto tra i principati nel braccio militare del parlamento siciliano.

Immagini: Archivio di Stato di Palermo, Archivio dei principi di Spadafora secc. XII-XX: Scrittura che riguarda la baronia di Pietra d’Amico e stato di Alexandria ovvero l’acquisto fattone da Nicolò Barresi nell’ anno 1543, b.2 (1340-1636).